Quanto sono lontani i tempi in cui Blake, agli albori della Rivoluzione anelò la fine del regno del padre ! Nel suo Nobodaddy[1] , un dio geloso era in agguato tra le nuvole, tra peti e rutti. La sua ira contro ogni felicità che non rispettasse le sue oscure leggi, scatenava il sacrificio massiccio della guerra o quello personalizzato della forca. Per portarlo a termine contava sulle incarnazioni terrestri di re e vescovi.
Anni prima, il Conte de Sade, padre libertino del famoso marchese, educando père-versamente[2] suo figlio consigliava : « concedersi a tutto ciò che si presenti : ti fa più degno di essere amato »[3]. Egli stesso aveva sposato la madre di Donatien per avvicinarsi all’oggetto di turno della sua avidità : l’insoddisfatta moglie del Principe di Condè, decano tra i libertini. Dalla fine di questa avventura – Voltaire era abituato a ridere con le donne del clan[4] – la madre di Sade si rinchiuderà con le suore Carmelitane della rue d’Enfer. Il suddetto Conte, non ha fatto di una donna la causa del suo desiderio, condizione, secondo Lacan, di père-version degna di amore.
Morto il padre e nel minaccioso annuncio del futuro, il Parlamento intervenne nel 1768 nell’« Affaire d’Arcueil » prima avventura di Donatien punito a causa di una nuova sensibilità antiaristocratica. Fine di un’era.
Dal padre del godimento oscuro, la cui segretezza, secondo Blake, si guadagnava il « sonoro applauso » delle donne, Joyce ne ha esteso il dominio riconoscendolo come sintomo – ciò che neanche una rivoluzione riesce a eliminare. Nell’Ulisse, il suo nuovo avatar Allfather infonde in ciascuno, tramite Hiesos Kristos la sofferenza del Logos « che soffre in noi in ogni momento »[5].
È l’epoca del padre senza veli. Spodestato dal suo posto tra le nuvole e anche dal suo potere sul linguaggio che ci parla, ci fa pertanto soffrire. Di lui poco resta da denunciare e in ogni caso non ha il consenso femminile. Lo stesso Logos è oggetto di depurazione.
L’orma del vecchio padre si trova negli arcani del potere del nome, nell’attribuzione di nominare « uomo » o « donna » imponendo in questo modo un destino sessuato incorporato nella carne, che soltanto la scienza potrebbe trattare. Il suo Altro sarebbe privo di oscuro desiderio, o questo dice la propaganda, applaudita dagli entusiasti dell’emancipazione.
L’Ipermoderno individuo, presumendosi padrone del suo corpo di godimento, rifiuta essere il fuoco dell’altare e la linfa sacrificale dove Stephen il joyciano si riconosceva. Sebbene alcuni si pentano del fuoco del testosterone sul corpo e ne lamentino la ferita del sacrificio della carne, ora visibile e per niente immateriale. I nuovi predicatori, che a loro dire nulla chiedono, non hanno mai abbastanza.
Di fronte alle nuove rivoluzioni presunte tali, la psicoanalisi ricorda con Lacan che è nell’inconscio che risiedono le fondamenta del padre. Ricorda altresì che il suo fallimento non lo fa meno sintomatico, e dunque resto operante. E assiste senza stupore all’ascesa di père-versioni che si offrono di riempire il vuoto della vecchia educazione, ove quella del padre è caduta.
Nel frattempo, la violenza del macho ben prescinde dal padre.
Traduzione : Liliana Rodriguez Zambrano
Revisione : Natalia Biangardi
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[1] Blake W. To Nobodaddy, Fayette, Poetical works www.bartleby.com/235/108.html.
[2] Lacan J. Le Seminaire, livre XXII « RSI », leçon du 21 janvier 75, Ornicar ?, n°3, 1975.
[3] Sade Conte de, « Lettre à Mme de Raymond », Bibliothèque de Sade (I), Le règne du père, Fayard, 1995, inedito. Traduzione nostra.
[4] Voltaire, Correspondance, Gallimard, La pléiade, t. I, p. 385-386, 433 & 1393 (inedito).
[5] Joyce. J, Ulisse, Oscar Mondadori, Cles, 2000, p.181.