« Senza essere padre sono rimasto necessariamente figlio »[1], scrive Erri De Luca nel suo ultimo libro, A grandezza naturale, dedicato a inediti brevi, ma eruditi e convincenti. Essi mettono i figli alla presenza di colui che sono invitati, perfino costretti, a chiamare « padre », « mio padre » e non, « Nostro padre ». Se il Padre non è per tutti, dobbiamo ammettere che il senso di questa nominazione è « uno per uno ». « Essere un figlio » si presenta come una formula inamovibile, che stabilisce la posizione dell’erede, all’ombra della grande quercia… Un fantasma che maschera il vicolo cieco di ciò che Lacan ha proposto come conseguenza ai Nomi-del-Padre : la dipendenza delle identificazioni dall’Altro dell’amore. Il padre, personaggio sempre un po’ insufficiente, è amato per la funzione di nominazione che gli viene attribuita e che è frutto del simbolico. Un modo per l’uomo di fare marcia indietro[2]. L’analisi opera su questa trappola che tormenta Erri De Luca. Non è questione di età, né di epoca !
Il grande scrittore dalla penna concisa è poco incline alla storiella. Non dice di essere una « sua manifattura »[3] prodotta da un ordine – semplicistica credenza di coloro (uomini e donne) che denunciano il « patriarcato ».
Egli riconosce che deve la sua impronta al secolo che ha avuto in comune[4] con colui di cui è e resta, al di là della morte di quest’ultimo, il figlio. « Non posso imputargli i miei torti », scrive. Dapprima figlio, « disertore dalla sua casa »[5], giovane napoletano ribelle, interroga la Sacra Scrittura, « la voce [senza volto] che ha scaraventato Abramo fuori della sua terra »[6] e l’afferra per leggere a suo modo un quadro di Marc Chagall, Il padre[7]. Un figlio, un quadro, « dà peso a [un uomo,] Zakhàr Chagall, un peso commosso dal ricordo e dal ritardo »[8].
Il padre un po’ ridicolo, Erri De Luca bambino lo aveva piazzato nella delusione che amava provocare nel parroco quando quest’ultimo sperava, al momento della confessione, l’ammissione di un’ultima colpa : Vuoi dire un’altra cosa ? « No, padre. »[9] Le voci intime, ben prima del suo passaggio al tribunale per il suo attivismo politico, avevano fatto di lui un suggeritore di teatro, pronto a soddisfare il personaggio a cui doveva servire dei peccati che non aveva commesso.
Nell’epoca in cui si orienta sul simbolico, Lacan indica che la fine della cura riconduce il padre al superio, vale a dire a una legge senza parole. Nel Seminario « R.S.I. » fa valere che la nominazione è l’ « indice du symbolique » : « dans le Symbolique, surgit quelque chose qui nomme »[10]. La nominazione degli animali da parte di Dio è limitata al simbolico. Il Padre, Dio, non è « interrogé en tant que Père au niveau du Réel »[11], si domanda allora Lacan.
Il titolo che Erri De Luca dà ai suoi racconti, A grandezza naturale, entra in risonanza con questo spostamento operato da Lacan nel 1975 : prendendo su di sé il non senso, il padre sembra rispondere a qualcosa che appare senza legge. Ecco la lettura della più dura storia, secondo le parole dello scrittore, fra un padre, Abramo, e suo figlio, Isacco. Il padre « apre le dita del coltello. […] Non ha sentito voci, la cima del Morià per lui è rimasta muta ». La divinità « si è messa da parte per dare alla creatura umana lo sbaraglio di una risposta ». Evento che apre, ci dice lo scrittore napoletano, al « campo delle varianti »[12].
Vogliamo, amiamo credere al padre come agente della castrazione. Si può dire che questo montaggio è più attenuato oggi con, come conseguenza, il sogno di una voce che ordinerà ad Abramo di mollare il suo coltello ? Denunciare il padre non significa opporsi a lui, essere in lotta con il personaggio, per interrogarsi sul suo desiderio di uomo. Quindi comprendiamo meglio come alcuni « papà » prendano la tangente, anche in ambito domestico, e che altri si trovino chiamati a incarnare colui che non esiste, Il Padre. Il fallo non è più in rapporto al padre con la stessa evidenza.
Durante il corso di orientamento lacaniano che ha tenuto con Éric Laurent, Jacques-Alain Miller metteva in evidenza che la nostra modernità si avvicina al discorso dell’analista che non situa la castrazione a partire dal padre immaginarizzato[13]. Già Freud rimarcava che il posto di quest’ultimo è vuoto. Nel Seminario « R.S.I. » Lacan indica che non ha un nome proprio. Ha tanti nomi quanti sono gli S1 a sostegno di questa funzione di nominazione che supplisce alla sua esistenza. Occorre che un S1 faccia taglio, eccezione, affinché le parole comincino a significare qualcosa. Chiamare in causa la funzione paterna rileva dell’iscrizione nel linguaggio.
In analisi si passa da una posizione di erede – essere figlio dell’Altro – a una posizione di eretico[14]. Ci si scopre figli e figlie dei significanti incontrati e del linguaggio. Un’esperienza che dà tutto il suo peso alla contingenza, ai piccoli eccessi del linguaggio da cui il soggetto prende i suoi marchi. Questi rianimano delle correnti che vivono.
« In nessun punto si legge che Abramo scioglie Isacco. Qui i nodi si disfano da soli »[15] scrive Erri De Luca.
Riferimenti Bibliografici dell’autore :
[1] De Luca E., A grandezza naturale, Milano, Feltrinelli, 2021, p. 12.
[2] Cf. Lacan J., Le Séminaire, livre XXII, « R.S.I. », lezione dell’11 marzo 1975, inedito.
[3] De Luca E., A grandezza naturale, op. cit., p. 13.
[4] Cf. ibid., p. 12-13.
[5] Ibid. p. 13.
[6] Ibid., p. 19.
[7] Marc Chagall, Le Père, olio su tela (1911), museo di arte e storia dell’ebraismo, Parigi.
[8] De Luca E., A grandezza naturale, op. cit., p. 20.
[9] Ibid., p. 14.
[10] Lacan J., Le Séminaire, livre XXII, « R.S.I. », op. cit.,lezione del 13 maggio 1975, inedito.
[11] Ibid.
[12] De Luca E., A grandezza naturale, op. cit., p. 29.
[13] Cf. Miller J.-A., Laurent É., « Cours d’orientation lacanienne. L’Autre qui n’existe pas et ses comités d’éthique », insegnamento pronunciato nel quadro del dipartimento di psicoanalissi dell’università di Parigi 8, lezione del 4 dicembre 1996.
[14] Cf. Laurent É., « Lacan, hérétique », La Cause freudienne, n°79, octobre 2011, p. 197-204.
[15] De Luca E., A grandezza naturale, op. cit., p. 30.
Traduzione : Marianna Matteoni
Revisione : Elena Madera
Immagine : © Emmanuel Kervyn