Il Padre Sintomo – Kepa Torrealdai Txertudi

©Elena Madera

Stanchi del padre

Assistiamo alla fine dell’era del padre, una fine di un’egemonia che assicurava un certo ordine simbolico. Un tempo che si conclude, sebbene produca ancora un malessere importante che viene denunciato da molteplici movimenti sociali, che ci mettono in guardia sulla necessità di rimanere svegli davanti agli ultimi colpi di coda del patriarcato. Quello che verrà si promette molto migliore, più libero, più etico e assicura un’autodeterminazione e felicità illimitata. Questo risveglio però non contempla gli equivoci né le oscillazioni delle soggettività attuali, e nemmeno l’esistenza dell’inconscio.

Cos’è un padre ?

In un primo tempo nell’opera di Lacan il padre, come significante, ha una funzione di interdizione, che regola e mette in logica il Complesso di Edipo e il mito di Totem e Tabù. Ma questo padre ridotto al suo significante non è sufficiente per stringere il vivo del corpus freudiano. Dove rimangono le pulsioni ? Dove sta il godimento ?

Siamo ancora in una fase in cui il pulsionale, il vivo del corpo, è incluso nell’immaginario, e ci si aspetta che il simbolico, in questo caso il Nome-del-Padre, lo metaforizzi.

Possiamo affermare che ci troviamo su un piano ontologico. Su un piano in cui la domanda che si presenta è per l’essere. Chi sono ? Cosa sono per l’Altro ? Una domanda a cui si risponde attraverso l’essere. Potrebbe concepirsi attraverso il fantasma che unisce il soggetto del significante con il godimento, ancora nel suo versante immaginario. Formazione che ci introduce nei grovigli dell’essere e del desiderio. Grovigli che alla fine sfociano in un niente.

Dall’altra parte, ci si presenta nell’ultimo insegnamento di Lacan, a partire dalla nozione di C’è dell’Uno, un cambiamento di prospettiva. Tutto l’approccio del piano ontologico dell’essere rimarrà ridotto all’immaginario e ora si tratterà di abbordare il reale. Il reale come ciò che insiste, quello che la risposta dal piano ontologico non raggiungeva. Si tratta di ciò che itera. Di ciò che persiste. Non si tratta più delle formazioni fugaci dell’inconscio nella modalità del lapsus, sogni o atti mancati. Piuttosto di ciò che non cambia, di ciò che non cede con l’interpretazione. Di ciò che resiste. Di ciò che si constata. Questo piano viene chiamato il piano dell’esistenza e smette di essere immaginario per definirsi come reale. E qui si approccia il reale del godimento nel particolare. È ciò che merita di chiamarsi sintomo.

Il padre sintomo

Da questa prospettiva il padre è un sintomo. La funzione del padre è fare sintomo. Questa versione del padre non è più quella del padre dell’universale freudiano, piuttosto quella che si incontra al livello della particolarità del sintomo. Ci troveremmo sul piano dell’esistenza. Il sintomo esiste. Lo constatiamo nella clinica. Non è più dal lato immaginario, di ciò che si può dire, di una formazione di parola. Piuttosto cade dal lato di una scrittura indelebile. È inscritto a titolo di una lettera nel corpo. Ha a che vedere piuttosto con un evento di corpo. Con qualcosa che si è sentito una volta e si ripete sempre nella stessa maniera. Un Uno del godimento che itera.

Ebbene, « questo padre »[1] concepito a titolo di marchio iterativo è una buona bussola per orientarci nella clinica della modernità liquida, dove tutto è fluido, tutto è nebuloso…

Traduzione : Laura Pacati
Revisione : Michela Perini

Immagine : ©Elena Madera

[1] Cf. Miller J.-A. e Di Ciaccia A., L’Uno-Tutto-Solo, Astrolabio, Roma, 2018, p. 134-150.