Questo titolo è una frase scoperta durante la lettura del primo corso che Jacques-Alain Miller ha tenuto dopo la morte di Lacan, « Capisaldi dell’insegnamento di Lacan ». In questo testo, lavorato quest’anno nell’aterlier di lettura dell’ACF-Belgio, J.-A. Miller propone di rileggere Lacan evitando la ripetizione, mettendo in luce le questioni che Lacan non ha posto. Poiché Lacan era questo, uno stile assertivo, che mascherava la giungla che era la sua costante elaborazione.
« Ravvivare il valore della metafora paterna »[1] è una formula che interroga, nel momento in cui il patriarcato è clamorosamente biasimato e in cui la funzione del padre è evaporata. J.-A. Miller propone una lettura del tutto rigenerante : evidentemente, non si tratta di ritornare agli antichi amori. Alla stregua di Lacan, « [n]oi non facciamo parte di quelli che si affliggono per un presunto allentamento del legame familiare. […] Eppure un gran numero di effetti psicologici ci sembra evidenziare un declino sociale dell’imago paterna »[2].
L’esercizio di J.-A. Miller consiste nel mettere in esergo il contesto in cui si è scavata la funzione del terzo. Vale a dire, per ciò che lo riguarda, constatare che ciò che l’aveva resa necessaria è stato occultato : per Lacan il primo rapporto con l’altro è un rapporto paranoico. Infatti nello stadio dello specchio Lacan illustra che lo stato normale dell’io [moi] è paranoico. « la paranoia è la personalità »[3] : vale a dire a rovescio di un’ideologia dell’apprensione immediata e accogliente dell’altro. Per Lacan il rapporto con l’altro è sempre « tu sei », che echeggia il verbo uccidere[4].
Il significante porta la frammentazione nell’unità del vivente. È tramite l’incorporazione del simbolico che nell’organismo si introduce il corpo, il passaggio dall’organismo al corpo.
In questo senso il significante fa il corpo umano. Il soggetto patisce del significante, tramite la castrazione.
La metafora paterna è un principio di separazione del soggetto dal godimento.
Questa separazione svuota il corpo dal godimento e permette al soggetto di « separare, se parare : per pararsi del significante sotto cui soccombe »[5] tramite il ricorso ad altri significanti, binari, nella stabilizzazione di una metafora che, come J.-A. Miller precisa – e ha tutta la sua importanza – non è meno delirante di altre[6]. Inoltre, la metafora paterna è da prendere come principio organizzatore del godimento.
Quando, a contrario, essa non funziona il soggetto soccombe sotto il significante da cui non può separarsi.
Prendiamo il caso del piccolo Hans. Quando il godimento del pene fa effrazione e la metafora paterna non è sufficientemente operante per rispondervi, egli costruisce la sua propria metafora sotto gli orpelli della fobia. Allora appare un principio organizzatore molto più invasivo, con « gli aspetti da Super-io osceno e feroce »[7].
Nel caso del presidente Schreber la metafora non opera, non c’è separazione fra corpo e godimento, non c’è principio organizzatore del godimento che, di conseguenza, fa ritorno sia nel corpo (catatonia), sia nella relazione immaginaria con il piccolo altro elevato alla potenza dell’Altro. Qui, il godimento non ha abbandonato né il corpo né l’Altro. L’elaborazione delirante di Schreber non è nient’altro che un principio organizzatore sostitutivo.
La metafora paterna è un’operazione che ha per risultato di fissare il soggetto in un rapporto regolato al godimento : il corpo ne è svuotato ma esso fa ritorno nelle zone erogene che sono come delle piccole oasi. Lo sforzo di J.-A. Miller permette di non formalizzare la psicosi come uno statuto deficitario, ricordando che a mettere troppo l’accento sulla forclusione si dimenticano le creazioni, invenzioni del soggetto. Si tratta di fare un posto a ciò che nella psicosi fa supplenza.
Il Congresso Pipol sarà l’occasione di studiare le elaborazioni dei soggetti che devono trovare un arrangiamento con un godimento non estratto, né dal corpo né dal campo dell’Altro, in mancanza dell’oggetto a per condensarlo.
Riferimenti bibliografici dell’autore :
[1] Miller J.-A., « Capisaldi dell’insegnamento di Lacan. L’orientamento lacaniano », Roma, Astrolabio, 2021, p. 293.
[2] Lacan J., « I complessi familiari nella formazione dell’individuo », Altri scritti, Torino, Einaudi, p. 60.
[3] Frase di Lacan pronunciata durante una presentazione di malati, citata da J.-A. Miller in Capisaldi dell’insegnamento di Lacan. L’orientamento lacaniano, op.cit., p. 273.
[4] In italiano si perde l’omofonia fra tu es (tu sei) e tuer (uccidere). [N.d.T.]
[5] Lacan J., « Posizione dell’inconscio », Scritti, Torino, Einaudi, 1974, p. 847.
[6] Cf. Miller J.-A., « Capisaldi dell’insegnamento di Lacan. L’orientamento lacaniano », op. cit.
[7] Miller J.-A., « Capisaldi dell’insegnamento di Lacan. L’orientamento lacaniano », op. cit., p. 282.
Traduzione : Marianna Matteoni
Revisione : Elena Madera
Immagine : © Fabien de Cugnac