Declinazione della padre-versioneMarie Rosalie Di Giorgio

© Pascale Simonet

Si può cogliere la père-version [p(at)erversione], da almeno due prospettive. Nella lezione del 21 gennaio 1975 di « RSI », Lacan esplora quella che potrebbe essere una « giusta » versione del padre. Ne Il sinthomo indica che « perversion vuol dire solo version vers le père, versione verso il padre »[1]. Come cogliere queste due versioni della père-version ?

Un modo di leggere « RSI » porta a ipotizzare che Lacan riprenda il Nome-del-Padre classico non più alla luce della metafora, ma nella prospettiva dei nodi borromei. Vi si può leggere tutta una traiettoria tra l’annodamento a tre e la necessità, che finirà per imporsi, di un quarto anello per legare gli altri tre.

Si tratta di passare dal nome, nel modo in cui si situa unicamente al livello del simbolico, alla nominazione come annodamento. « La nomination de chacune des espèces [est une] nomination assurément symbolique, mais limitée au symbolique ». E Lacan si interroga : « Cela nous suffit-il pour supporter la fonction du Nom-du-Père ? », per arrivare a dire che il Padre deve « être interrogé au niveau du réel »[2].

Ne risulta allora l’esistenza di un padre nella sua singolarità e nel suo rapporto con il godimento, che ne è la molla. Qui si introduce la père-version, cioè tante versioni quanti sono i padri. Come dice semplicemente Lacan, « ce n’est pas la même chose d’avoir eu sa maman et pas la maman du voisin, de même pour le papa »[3].

Lacan sottolinea che il padre « ne peut être modèle de la fonction qu’à en réaliser le type. Peu importe qu’il ait des symptômes s’il y ajoute celui de la père-version paternelle, c’est-à-dire que la cause en soit une femme »[4]. Notiamo la dimensione sintomatica di questa père-version paterna. Ciò significa sottolineare che, rispetto al buco nel simbolico, il rapporto al sessuale non può che essere del registro del sintomo. Ogni père-version è segnata dalla traccia dell’esilio per ciò che concerne il sessuale, traccia sempre singolare. Quando questa versione si iscrive nel « le juste mi-dieu, […] soit le juste non-dit »[5], questo apre per il bambino il campo del desiderio.

Ne Il sinthomo Lacan seguirà la pista di Joyce. Pensare degli annodamenti non borromei che permettano di tenere nell’esistenza diventa possibile. Ciò significa che qui il focus è sul modo in cui il soggetto si arrangia con l’errore del nodo, se non addirittura a supplire alla carenza paterna.

Che cosa significa se non che per ciascuno l’annodamento non può essere che sintomatico ? « A definire la perversione non è il fatto che il simbolico, l’immaginario e il reale siano spezzati, poiché sono già distinti, di modo che bisogna supporre un quarto, che in tal caso è il sinthomo »[6].

Si tratta infatti di ottenere una forma di limitazione del godimento. Jacques-Alain Miller sottolinea così che il Nome-del-Padre, inteso nella sua formula generalizzata, « è un apparecchio che permette […] un comportamento più o meno corretto con il godimento. In altre parole, permette di temperare e moderare il rapporto con la lingua »[7].

Riferimenti bibliografici dell’autore :
[1] Lacan J., Il Seminario, libro XXIII, Il sinthomo, Roma, Astrolabio, 2006, p. 18.
[2] Lacan J., Le Séminaire, livre XXII, « RSI », Ornicar ?, n°5, hiver 75/76, p. 65.
[3] Lacan J., « Conférences et entretiens dans des universités nord-américaines », Scilicet, n°6/7, Paris, Seuil, 1976, p. 45.
[4] Lacan J., Le Séminaire, livre XXII, « RSI », Ornicar ?, n°3, mai 1975, p. 108.
[5] Ibid.
[6] Lacan J., Il Seminario, libro XXIII, Il sinthomo, op.cit., p. 18.
[7] Miller J.-A., « Lacan con Joyce », in Introduzione alla clinica lacaniana, Roma, Astrolabio, 2012, p. 303.

Traduzione : Elda Perelli
Revisione :Marianna Matteoni

Immagine : © Pascale Simonet